La rivoluzione industriale
provocò profondi cambiamenti economici e sociali. La fabbrica divenne la nuova
realtà del lavoro, sostituendosi all'azienda agricola e alla bottega artigiana ed i centri urbani crebbero rapidamente.
Venne così a crearsi la “famiglia proletaria”, i cui membri
appartenevano alla classe operaia e lottavano per rinnovare il mondo del
lavoro.
In questo periodo si iniziò a
dare importanza al singolo e nacquero
nuovi ruoli, determinati dalle scelte e capacità di ognuno.
Per quanto riguarda l’ aspetto
economico fu avviata una nuova organizzazione del lavoro.
Il soggetto non era più il
padrone dell’azienda, ma un lavoratore: una persona cioè che andava a vendere,
come diceva Marx,la sua “merce-lavoro” e un dipendente: uno che non conosceva
il progetto del suo lavoro.
L’economia non era inoltre più
basata sullo scambio, ma sul mercato e sulla concorrenza.
In questo periodo lo stato
divenne Stato sociale (fautore Ottone Bismarck), non si preoccupava più
soltanto dei confini, ma anche dei propri cittadini nel senso di dar loro
un’assistenza ( previdenza sociale, ovvero pensioni per gli anziani e gli
invalidi, assistenza in caso di malattia e di infortunio sul lavoro e periodi
di riposo dati a madri incinte ecc..) e una scuola.
La famiglia grazie a questi
interventi perdeva parti delle sue funzioni, ne conservava però due in modo
particolare, una di socializzazione primaria, l’altra di rassicurazione
psicologica.
Prendendo in considerazione
l’aspetto culturale notiamo invece che la precedente “famiglia-azienda” cambiò
la propria rete di relazioni al suo interno. Ciascuno lasciava la sua casa e
andava a lavorare in fabbrica, ciascuno perciò poteva acquistare dei beni e
affermarsi economicamente, ciò provocò un cambiamento di cultura.
Si affermò inoltre una nuova
modalità di vita religiosa, in quanto la chiesa si interessò molto di più degli
aspetti religiosi che di quelli: economici, sociali e assistenziali.